di Manuel Fantoni
È
inutile raccontare cosa sia avvenuto la notte del 3 maggio allo stadio Olimpico
di Roma, perché in tanti l’hanno fatto o lo stanno facendo. Mi limito a fare le
amare considerazioni del caso.
La
prima riguarda il coro che a gran voce si è levato nell’immediato post-partita
della finale di Coppa Italia, in altre parole che sono fatti che non
appartengono al calcio. Fermi tutti. Quanto visto sabato sera con il calcio
c’entra eccome, le curve in Italia comandano, hanno grande potere, partecipano
alle decisioni societarie e soprattutto da quest’ultime sono spesso
sovvenzionate. Il tanto citato Genny ‘a Carogna non è una anomalia del nostro
calcio ma, purtroppo, è la regola e di Genny ne possiamo trovare uno in ogni
curva. Come sempre poi la risposta della politica è degna delle peggio comiche,
tra chi invoca daspo a vita e le solite pene esemplari quando invece basterebbe
applicare alla lettera leggi che già ci sono. Non scordiamo che fu la stessa politica,
all’indomani della morte dell’ispettore Raciti, a varare una serie di norme,
tra cui i daspo, tessera del tifoso, tornelli, stewards e chi più ne ha più ne
metta, che ci dimostrano ogni giorno quanto poco funzionano, visto che non era
certamente la prima volta, sabato scorso, che si assisteva a lancio di bengala
e bombe carta in uno stadio.
Quello
che possiamo constatare è che in questi giorni si è celebrato il funerale del
calcio italiano, in declino già da diversi anni per carità, come lo è del resto
l’Italia intera. Il requiem è inizato giovedì notte con il sorpasso del
Portogallo sull’Italia nel ranking UEFA e si è concluso (speriamo) sabato notte
con una finale di Coppa Italia dimenticabile.
Può
essere facile retorica, ma lo specchio del paese è davvero il calcio, anzi la
finale di Coppa Italia, il caos e mancanza di ordine, la classe dirigente, che
assiste dalla tribuna d’onore, imperturbabile ed infine vedetela voi come
volete il capo ultrà che decide o che viene informato della situazione. La
sostanza delle cose cambia poco poiché il confine tra chiedere il permesso di
giocare/trattare o informare sulla situazione del tifoso ferito, rimane molto
sottile e soprattutto non lo si vedrà mai in nessun paese civile. Così come non
si è mai visto uno stadio intero che fischia il proprio inno nazionale.
Cosa
succederà domani? Se fossimo un Paese serio, di fronte a un problema si cerca
una soluzione rapida ed efficace per risolverla, ma purtroppo non lo siamo e
quindi finirà a tarallucci e vino come sempre, con i soliti strilli e urla d’indignazione
e un nuovo pacchetto di leggi severissime che nessuno farà o sarà in grado di
far rispettare ai facinorosi.
Che
altro dire? chiudiamo settori dello stadio per presunti cori di discriminazione
raziale (qual è il confine tra sfottò e discriminazione?) ma, non siamo capaci
di fare rispettare la legge nelle curve, che diventano zona franca dove tutto è
permesso. Non mi spaventano gli ultras, mi spaventa più la classe dirigente e
chi dovrà prendere decisioni, oggi il problema sono gli ultras, domani chi
sarà? Nel frattempo scendono i titoli di coda, mentre il resto del mondo
continua ad andare avanti.
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