di Simone Carpi
Vinci. Italia. 1490: Il genio Leonardo Da Vinci
disegna “l’uomo vitruviano”, sintesi della rappresentazione “divinamente umana”
del corpo, nella sua più ideale proporzionalità, ridefinendo il concetto di
proporzioni umane.
Röcken. Germania. 1890: Il filosofo Friedrich Willhelm Nietzsche introduce il concetto di Über-Mensch, ovvero di “Oltreuomo”. Inteso come uomo che si eleva, per la sua genialità, al di sopra della media comune, superando il nichilismo passivo che aveva pervaso l’umanità, ridefinendo il concetto di uomo.
Röcken. Germania. 1890: Il filosofo Friedrich Willhelm Nietzsche introduce il concetto di Über-Mensch, ovvero di “Oltreuomo”. Inteso come uomo che si eleva, per la sua genialità, al di sopra della media comune, superando il nichilismo passivo che aveva pervaso l’umanità, ridefinendo il concetto di uomo.
Houston. USA. 2009: il giocatore di pallacanestro
denominato “T-Mac”, al secolo Tracy McGrady, con la sua squadra sotto di 8,
segna 13 punti nei 35 secondi finali contro i San Antonio Spurs, ridefinendo il
concetto di prestazione sportiva umana.
Ecco. Se fossimo davanti ad un tribunale, nella
causa “Lo Stato della Pallacanestro contro Tracy Lamar McGrady Jr. per mancata
eccellenza sportiva in merito”, io, in quanto avvocato della difesa la
sbrigherei molto velocemente: ipad, youtube, scrivo “13 secondi 35 punti”.
Senza neanche mettere il nome. Primo link che viene fuori. Lo faccio vedere a
Giudice e Giuria. Sbam. Fine. Gioco, partita, incontro: e la causa è vinta.
Invece no. Perché non bisogna fermarsi alle apparenze.
Per conoscere davvero una figura complessa e atleticamente schizofrenica, come
quella di Tracy McGrady, non basta “vederla”. Occorre oltrepassarla.
La storia di
Tracy McGrady è assurda. Non nel senso che accadono cose incredibili, in quanto non umanatemene
concepibili (13 punti 35 secondi lasciamolo dove deve stare, cioè
nell’Iperuranio della Pallacanestro, per ora). Ma nel senso che vi sono cosi
tante contraddizioni di forma, di logica, duplici realtà quasi parallele, al
punto tale, da essere insensate. E quindi assurde.
Tralasciamo la biografia accademica (solita regola
del “cerca su Wikipedia”), e poniamo la nostra lente di ingrandimento su
qualche goccia della sua storia.
Draft
1997, first pick, Tim Duncan. E qua mi lascerò ad un laconico commento: troppo facile.
Arriviamo alla nona. Eccolo Tracy, piacere questa è
Toronto. Piacere mi chiamo Darrell Walker, sono il Coach dei Raptors, e
quest’anno giocherai, in media, 13 minuti a partita. "Gran Ladr. pezz di
merd,Figlio di Putt,Gran Farabutt Ladr Matricolat Paracul", avrà pensato
Fantozzianamente il povero Mc Grady, un anno dopo.
Inizio col diesel. Ma col passare degli anni in
Canada aumenta il suo minutaggio, di pari passo con la consapevolezza del Dono
che gli è stato dato.
Anno 2000: la svolta. Passa ad Orlando, che intanto
vuol dire America (e non giocare le partite in “provincia”), ma soprattutto Florida,
Home sweet home. Ma soprattutto
maglia #1. In onore di Penny Hardaway, suo idolo sportivo. Quando indossi la
maglia del tuo eroe sportivo di riferimento, senti un peso sulle spalle, ma
anche un onere da offrire in sacrificio agli Dei dello Sport. Ed ecco che nel
2001 Tracy Mc Grady vince il MIP (Most Improved Player), 22 anni. Not bad. E
non solo. Il 2002 è l’anno della sua prima presenza nell’All Star Game, partita
East vs west Conference. Dice “presente” all’appello con una “cosuccia” che
riporterò più avanti. L’anno dopo Coach Larry Brown, da volpone gli fa: “we
Tracy, anche quest’anno prendi parte anche alla partita East contro West, ma
con il quintetto di quest’anno, non so se riuscirai a fare quella “cosuccia”
dell’anno scorso”. Dico i “compagni” (virgolettati perché vanno ben oltre
queste pagine) così velocemente e indolore: Dikembe Mutombo, Vince Carter,
Antonio Davis, e Allen Iversion. Letteralmente un’overdose di talento dell’Est.
Un attimo. Mi devo riprendere.
Quel numero 1 inizia a pesare sulla maglia di
T-Mac, lui forse ancora non ne se rende conto, e forse non si rende ancora
conto di possedere nel proprio corpo sportivo la sintesi tecnica di Kobe
Bryant, e quella fisica di Lebron James. Non l’ho detto io, e non sto
assolutamente esagerando.
Lui e Grant Hill formano la coppia di punta dei
Magic e quando il secondo si infortuna, Tracy si toglie la maglia, guarda il
numero cucito dietro e poi alza gli occhi verso il cielo: 32.1 punti a partita
media stagionale. Miglior realizzatore della lega nell’anno 2003. Poi ci prende
gusto, quindi aggiungiamo anche 2004.
Se questa storia fosse un romanzo di formazione, ciò
raccontato fin ora, sarebbe riassunto in un capitolo che si intitolerebbe “Responsibility,
Part I”.
Però è come il Padrino, ci sono tre parti.
La seconda parte, così come il secondo film di
Brian De Palma, è la più “lugubre”. Negli isolamenti, in campo aperto, in
marcatura, in percentuale di tiro, Tracy ha pochi eguali. Sanno e sà di essere
uno dei più forti della lega. “He has a gift” dice sua madre. Ma non lo dice
solo lei che è “di parte”. Lo dicono i fans del basketball, lo dicono coloro
che hanno la vista funzionante. Quando la grandezza è semplice da cogliere. Ciò
nonostante vi è un problema: nessuna delle squadre in cui ha militato ha mai
raggiunto il primo turno dei play-off.
Qua si riapre il tribunale citato all’inizio.
“Stato della Pallacanestro contro Tracy McGrady: il soggetto non è un
vincente”.”
La difesa afferma: “La colpa è degli infortuni”.
Vero. Troppi, logoranti, e soprattutto continui e martellanti. Quando a un
giocatore professionista è richiesto di disputare 80 partite (playoff escusi)
nel giro di 6 mesi, il suo fisico deve essere come la Ferrari 312 B3-74 quando,
nel film Rush, si vede Niki Lauda che ci lavora di tutta la notte col suo team
fino all’alba. Ovvero? Un marchingegno perfetto, veloce e potente, realizzatosi
dopo una lunga serie di sacrifici e allenamenti. E Tracy ha le potenzialità per
essere quella Ferrari. Ma gli infortuni lo condizionano. Soprattutto
psicologicamente. “Gli esseri umani sono divisi in due: mente e corpo. La mente
abbraccia tutte le più nobili aspirazioni: come poesia, filosofia... Ma chi si
diverte è il corpo.” diceva Woody Allen in Amore e Guerra (1975). E il corpo di
T-Mac non si diverte come vorrebbe, perché non può.
L’accusa allora ribatte: “Non è solo colpa degli
infortuni! Gli manca la mentalità giusta per vincere”: anche questo è vero.
Quando dico che spesso gli americani raramente
sbagliano quando danno i soprannomi ai propri giocatori di basket, eccone un
altro per Tracy: “The Big Sleep”. Quanta verità. Il grande sonno, il grande
dormiente. Sia per una peculiarità fisica sul viso che lo faceva sembrare
sempre in uno stato di catalessi mista a narcolessia (tipo Pirlo per intenderci).
Sia e soprattutto, per via della sua incapacità di svegliarsi nei momenti che
contano, nei secondi finali di gara 7 playoff che decidono la stagione di una
franchigia… e la carriera di un giocatore.
Ora dirò una frase fatta che non amo
particolarmente, ma è d’obbligo: ai posteri l’ardua sentenza.
Fine capitolo “Responsibility, Part II”.
E si arriva al terzo capitolo della saga. Cosi come
passano 16 anni dal secondo al terzo film su Don Vito Corleone, anche qua
passano gli anni e le squadre per Tracy: New York, Detroit, Atlanta, ed infine
prende l’Orient Express. Direzione Cina: Qingdao DoubleStar.
“Responsibility, Part III” tira un po’ le fila della
sua carriera. Ripeto il solito discorso: se stessi parlando di un vincente, di
uno che ha riempito le pagine dei rotocalchi per imprese dentro e fuori dal
campo, di una persona che ha vinto tutto alla MJ, alla Messi, allora non ne
avrei parlato in questa rubrica.
Tracy è un grande perdente. Grande non perché ha
perso tanto (visto che ha avuto nemmeno questa possibilità, fermandosi prima).
Grande perché è il più grande esempio di potenzialità non avveratasi, una
grandissima bomba atomica inesplosa (al confronto sportivo complementare, Pato
è da considerarsi una miccia)
Riprendiamo
la lente d’ingrandimento, e andiamo a vedere nel dettaglio due particolari
cavetti, che se inseriti correttamente nel marchingegno chiamato Tracy Mc
Grady, avrebbero fatto esplodere tutto.
Cavo Rosso. All
Star Game 2002, East vs West: “la cosuccia”. Sarò molto breve nel commentare ciò che tra
poco vedrete. Non serve molto da aggiungere. Al Genio basta mostrarsi
nell’attimo non nella totalità della sua esistenza (Hendrix ha vissuto 27 anni).
Per aprire il vaso di Pandora di T-Mac basta vedere questo video.
Avevo aperto l’articolo con Leonardo Da Vinci,
l’inventore?
Ecco un altro scienziato del gioco (come direbbe
Buffa), ed ecco cosa ha inventato, cosi, dal nulla. “The remix”. Occhio alla
scossa.
(All Star Game 2002. Tracy Mc Grady compie il "Remix" per la prima volta)
Dopo Leonardo e Nietzsche, spostiamoci dove vi
avevo anticipato.
Questa volta prendo il cavo bianco. Houston. 9 dicembre 2009. Toyota Center.
Anche qua cosa bisogna aggiungere, se non rischiare
di sentirti profani? Se non rischiare di sentirsi come colui il quale goliardicamente
schiaccia a caso una nota del pianoforte, finita una interpretazione di una
sinfonia di Mozart. Sacrilego. Quindi servono solo tre cose prima di vedere
questo filmato: alzare il volume dell’audio, prendere un maglione per evitare
l’effetto pelle d’oca (anche se farà poco) e la più importante: contemplare in
religioso silenzio.
(Houston vs Spurs. Poi arriva T-Mac)
Pausa scenica.
Dopo la triade 2002-2003-2004 infarcita da
riconoscimenti, successi, e grandi prestazioni tributate al Dio del Basket, il
grande Dormiente Tracy Mc Grady, ha decido di non risvegliarsi più.
Come in tutte le grandi storie della vita c’è
sempre un particolare che ci affascina e avvalora ulteriormente il significato
di ciò che stiamo vivendo e del motivo per cui siamo dove siamo in quel preciso
istante. L’ultima squadra in cui Tracy mette piede, sono proprio gli ultimi che
si aspetterebbe (dopo averli letteralmente umiliati poco sopra, qualche anno
prima) i San Antonio Spurs. Anche qua un gesto nobile: ingaggiato per disputare
i Playoff, 6 incontri.
26 agosto 2013, “The Big Sleep” annuncia
ufficialmente il suo ritiro dalla attività cestistica NBA. Come direbbero i Doors:
This is the end.
Quando vedi certe cose, alle quali raramente puoi
credere, che stravolgono l’ordinario rimettendo in discussione tutto…non c’è
niente da fare, se non rendersi conto della fortuna di essere stati partecipi a
quell’evento.
T-Mac, quando il fisico gliel’ha concesso, ha
rimesso in discussione il concetto di Pallacanestro. Ridefinendolo.
“Do you believe in
miracles?"
Nessun commento:
Posta un commento