sabato 3 maggio 2014

DO YOU BELIEVE IN MIRACLES?

di Simone Carpi



Vinci. Italia. 1490: Il genio Leonardo Da Vinci disegna “l’uomo vitruviano”, sintesi della rappresentazione “divinamente umana” del corpo, nella sua più ideale proporzionalità, ridefinendo il concetto di proporzioni umane.
Röcken. Germania. 1890: Il filosofo Friedrich Willhelm Nietzsche introduce il concetto di Über-Mensch, ovvero di “Oltreuomo”. Inteso come uomo che si eleva, per la sua genialità, al di sopra della media comune, superando il nichilismo passivo che aveva pervaso l’umanità, ridefinendo il concetto di uomo.
Houston. USA. 2009: il giocatore di pallacanestro denominato “T-Mac”, al secolo Tracy McGrady, con la sua squadra sotto di 8, segna 13 punti nei 35 secondi finali contro i San Antonio Spurs, ridefinendo il concetto di prestazione sportiva umana.

Ecco. Se fossimo davanti ad un tribunale, nella causa “Lo Stato della Pallacanestro contro Tracy Lamar McGrady Jr. per mancata eccellenza sportiva in merito”, io, in quanto avvocato della difesa la sbrigherei molto velocemente: ipad, youtube, scrivo “13 secondi 35 punti”. Senza neanche mettere il nome. Primo link che viene fuori. Lo faccio vedere a Giudice e Giuria. Sbam. Fine. Gioco, partita, incontro: e la causa è vinta.
Invece no. Perché non bisogna fermarsi alle apparenze. Per conoscere davvero una figura complessa e atleticamente schizofrenica, come quella di Tracy McGrady, non basta “vederla”. Occorre oltrepassarla.
La storia di Tracy McGrady è assurda. Non nel senso che accadono cose incredibili, in quanto non umanatemene concepibili (13 punti 35 secondi lasciamolo dove deve stare, cioè nell’Iperuranio della Pallacanestro, per ora). Ma nel senso che vi sono cosi tante contraddizioni di forma, di logica, duplici realtà quasi parallele, al punto tale, da essere insensate. E quindi assurde.
Tralasciamo la biografia accademica (solita regola del “cerca su Wikipedia”), e poniamo la nostra lente di ingrandimento su qualche goccia della sua storia.
Draft 1997, first pick, Tim Duncan. E qua mi lascerò ad un laconico commento: troppo facile.
Arriviamo alla nona. Eccolo Tracy, piacere questa è Toronto. Piacere mi chiamo Darrell Walker, sono il Coach dei Raptors, e quest’anno giocherai, in media, 13 minuti a partita. "Gran Ladr. pezz di merd,Figlio di Putt,Gran Farabutt Ladr Matricolat Paracul", avrà pensato Fantozzianamente il povero Mc Grady, un anno dopo.
Inizio col diesel. Ma col passare degli anni in Canada aumenta il suo minutaggio, di pari passo con la consapevolezza del Dono che gli è stato dato.
Anno 2000: la svolta. Passa ad Orlando, che intanto vuol dire America (e non giocare le partite in “provincia”), ma soprattutto Florida, Home sweet home. Ma soprattutto maglia #1. In onore di Penny Hardaway, suo idolo sportivo. Quando indossi la maglia del tuo eroe sportivo di riferimento, senti un peso sulle spalle, ma anche un onere da offrire in sacrificio agli Dei dello Sport. Ed ecco che nel 2001 Tracy Mc Grady vince il MIP (Most Improved Player), 22 anni. Not bad. E non solo. Il 2002 è l’anno della sua prima presenza nell’All Star Game, partita East vs west Conference. Dice “presente” all’appello con una “cosuccia” che riporterò più avanti. L’anno dopo Coach Larry Brown, da volpone gli fa: “we Tracy, anche quest’anno prendi parte anche alla partita East contro West, ma con il quintetto di quest’anno, non so se riuscirai a fare quella “cosuccia” dell’anno scorso”. Dico i “compagni” (virgolettati perché vanno ben oltre queste pagine) così velocemente e indolore: Dikembe Mutombo, Vince Carter, Antonio Davis, e Allen Iversion. Letteralmente un’overdose di talento dell’Est. Un attimo. Mi devo riprendere.

Quel numero 1 inizia a pesare sulla maglia di T-Mac, lui forse ancora non ne se rende conto, e forse non si rende ancora conto di possedere nel proprio corpo sportivo la sintesi tecnica di Kobe Bryant, e quella fisica di Lebron James. Non l’ho detto io, e non sto assolutamente esagerando.
Lui e Grant Hill formano la coppia di punta dei Magic e quando il secondo si infortuna, Tracy si toglie la maglia, guarda il numero cucito dietro e poi alza gli occhi verso il cielo: 32.1 punti a partita media stagionale. Miglior realizzatore della lega nell’anno 2003. Poi ci prende gusto, quindi aggiungiamo anche 2004.
Se questa storia fosse un romanzo di formazione, ciò raccontato fin ora, sarebbe riassunto in un capitolo che si intitolerebbe “Responsibility, Part I”.
Però è come il Padrino, ci sono tre parti.
La seconda parte, così come il secondo film di Brian De Palma, è la più “lugubre”. Negli isolamenti, in campo aperto, in marcatura, in percentuale di tiro, Tracy ha pochi eguali. Sanno e sà di essere uno dei più forti della lega. “He has a gift” dice sua madre. Ma non lo dice solo lei che è “di parte”. Lo dicono i fans del basketball, lo dicono coloro che hanno la vista funzionante. Quando la grandezza è semplice da cogliere. Ciò nonostante vi è un problema: nessuna delle squadre in cui ha militato ha mai raggiunto il primo turno dei play-off.
Qua si riapre il tribunale citato all’inizio. “Stato della Pallacanestro contro Tracy McGrady: il soggetto non è un vincente”.”
La difesa afferma: “La colpa è degli infortuni”. Vero. Troppi, logoranti, e soprattutto continui e martellanti. Quando a un giocatore professionista è richiesto di disputare 80 partite (playoff escusi) nel giro di 6 mesi, il suo fisico deve essere come la Ferrari 312 B3-74 quando, nel film Rush, si vede Niki Lauda che ci lavora di tutta la notte col suo team fino all’alba. Ovvero? Un marchingegno perfetto, veloce e potente, realizzatosi dopo una lunga serie di sacrifici e allenamenti. E Tracy ha le potenzialità per essere quella Ferrari. Ma gli infortuni lo condizionano. Soprattutto psicologicamente. “Gli esseri umani sono divisi in due: mente e corpo. La mente abbraccia tutte le più nobili aspirazioni: come poesia, filosofia... Ma chi si diverte è il corpo.” diceva Woody Allen in Amore e Guerra (1975). E il corpo di T-Mac non si diverte come vorrebbe, perché non può.
L’accusa allora ribatte: “Non è solo colpa degli infortuni! Gli manca la mentalità giusta per vincere”: anche questo è vero.
Quando dico che spesso gli americani raramente sbagliano quando danno i soprannomi ai propri giocatori di basket, eccone un altro per Tracy: “The Big Sleep”. Quanta verità. Il grande sonno, il grande dormiente. Sia per una peculiarità fisica sul viso che lo faceva sembrare sempre in uno stato di catalessi mista a narcolessia (tipo Pirlo per intenderci). Sia e soprattutto, per via della sua incapacità di svegliarsi nei momenti che contano, nei secondi finali di gara 7 playoff che decidono la stagione di una franchigia… e la carriera di un giocatore.
Ora dirò una frase fatta che non amo particolarmente, ma è d’obbligo: ai posteri l’ardua sentenza.
Fine capitolo “Responsibility, Part II”.
E si arriva al terzo capitolo della saga. Cosi come passano 16 anni dal secondo al terzo film su Don Vito Corleone, anche qua passano gli anni e le squadre per Tracy: New York, Detroit, Atlanta, ed infine prende l’Orient Express. Direzione Cina: Qingdao DoubleStar.

Responsibility, Part III” tira un po’ le fila della sua carriera. Ripeto il solito discorso: se stessi parlando di un vincente, di uno che ha riempito le pagine dei rotocalchi per imprese dentro e fuori dal campo, di una persona che ha vinto tutto alla MJ, alla Messi, allora non ne avrei parlato in questa rubrica.
Tracy è un grande perdente. Grande non perché ha perso tanto (visto che ha avuto nemmeno questa possibilità, fermandosi prima). Grande perché è il più grande esempio di potenzialità non avveratasi, una grandissima bomba atomica inesplosa (al confronto sportivo complementare, Pato è da considerarsi una miccia)
Riprendiamo la lente d’ingrandimento, e andiamo a vedere nel dettaglio due particolari cavetti, che se inseriti correttamente nel marchingegno chiamato Tracy Mc Grady, avrebbero fatto esplodere tutto.
Cavo Rosso. All Star Game 2002, East vs West: “la cosuccia”. Sarò molto breve nel commentare ciò che tra poco vedrete. Non serve molto da aggiungere. Al Genio basta mostrarsi nell’attimo non nella totalità della sua esistenza (Hendrix ha vissuto 27 anni). Per aprire il vaso di Pandora di T-Mac basta vedere questo video.
Avevo aperto l’articolo con Leonardo Da Vinci, l’inventore?
Ecco un altro scienziato del gioco (come direbbe Buffa), ed ecco cosa ha inventato, cosi, dal nulla. “The remix”. Occhio alla scossa.

(All Star Game 2002. Tracy Mc Grady compie il "Remix" per la prima volta)

Dopo Leonardo e Nietzsche, spostiamoci dove vi avevo anticipato.
Questa volta prendo il cavo bianco. Houston. 9 dicembre 2009. Toyota Center.
Anche qua cosa bisogna aggiungere, se non rischiare di sentirti profani? Se non rischiare di sentirsi come colui il quale goliardicamente schiaccia a caso una nota del pianoforte, finita una interpretazione di una sinfonia di Mozart. Sacrilego. Quindi servono solo tre cose prima di vedere questo filmato: alzare il volume dell’audio, prendere un maglione per evitare l’effetto pelle d’oca (anche se farà poco) e la più importante: contemplare in religioso silenzio.


(Houston vs Spurs. Poi arriva T-Mac)

Pausa scenica.
Dopo la triade 2002-2003-2004 infarcita da riconoscimenti, successi, e grandi prestazioni tributate al Dio del Basket, il grande Dormiente Tracy Mc Grady, ha decido di non risvegliarsi più.
Come in tutte le grandi storie della vita c’è sempre un particolare che ci affascina e avvalora ulteriormente il significato di ciò che stiamo vivendo e del motivo per cui siamo dove siamo in quel preciso istante. L’ultima squadra in cui Tracy mette piede, sono proprio gli ultimi che si aspetterebbe (dopo averli letteralmente umiliati poco sopra, qualche anno prima) i San Antonio Spurs. Anche qua un gesto nobile: ingaggiato per disputare i Playoff, 6 incontri.
26 agosto 2013, “The Big Sleep” annuncia ufficialmente il suo ritiro dalla attività cestistica NBA. Come direbbero i Doors: This is the end.
Quando vedi certe cose, alle quali raramente puoi credere, che stravolgono l’ordinario rimettendo in discussione tutto…non c’è niente da fare, se non rendersi conto della fortuna di essere stati partecipi a quell’evento.
T-Mac, quando il fisico gliel’ha concesso, ha rimesso in discussione il concetto di Pallacanestro. Ridefinendolo.

In quella fredda sera di dicembre del 2009, il tifoso con il tasca il biglietto marcato Toyota Center tornò poi a casa. E ciò che dopo accadde, non è frutto della mia immaginazione. Nel bel mezzo della notte si svegliò di soprassalto, sudato e febbricitante. E si chiese se quello che aveva visto qualche ora prima era sogno o realtà, visione, delirio o immaginazione. Allora all’improvviso dentro di sè si alzò il suo Spirito, che passeggiando con calma olimpica si posò sul suo orecchio ancora sudato, e sussurando gli disse queste cinque semplici parole: 
“Do you believe in miracles?"

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