mercoledì 6 luglio 2016

"O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventar cattivo: KD e i nuovi Warriors"


(di Simone Carpi)

Se la storia che sto per raccontare, fosse un film, sarebbe "Il cavaliere oscuro" di Christopher Nolan, con Christian Bale e Heath Ledger.
Bene. Ora che ho imitato Fabio De Luigi che imita Carlo Lucarelli, posso parlare di cose serie, o meglio… più serie di “KD2GS”. No tranquilli, non è un codice captcha o la targa dell’auto di Lapo Elkann, ma un abbreviazione che gli americani fanno (di tutto), per indicare il "ridicolo" passaggio di Kevin Durant da Oklahoma a Golden State. Per i fanatici (perché o si è fanatici o si è non fanatici in questo sport, no chance) dell’NBA, è stato un colpo al cuore, e uno all’anima: uno dei top5 della lega e degli ultimi 10 anni, che si unisce agli Warriors e ad altre all stars come gli “Splash Brothers”, ovvero Curry & Thompson, e quel figlio di buona donna di Draymond Green, a comporre un quintetto stellare e illegale in 85 paesi.
Facciamo un passo indietro: "O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventar cattivo", dice Harvey Dent, ad un certo punto del film, sopracitato. E come dargli torto, se quel l'eroe un tempo (usare il passato, sigh) era proprio Kevin Durant, al secolo KD35. Eroe come è stato eroico il suo gesto di indossare fin dal college il numero 35 per l’appunto, in onore di un suo coach morto assassinato a soli 35 anni. Uomo franchigia dei Thunder, squadra di una città che negli ultimi vent’anni, la cosa più rilevante che ha vissuto, è stato il tragico attentato del 12 aprile 1995 con 168 morti. Dalla tragedia, fino a passare alla speranza (vana) poi, con la sconfitta nelle Finals nel 2012 contro Miami, nel grande team di allora che lui in primis trainò assieme a Ibaka, Westbrook e Mr. Barba Harden a seguito. Giocatore taciturno, umile, devoto (molto), e al tempo stesso ogni volta che mette il piede sul parquet, esaltante, spumeggiante, divino. 
Ed ora Kevin a soli 27 anni, “diventi cattivo”, passando coi più “forti” solo per vincere un anello? Quando Lebron “porto i suoi talenti a South Beach (cit.)” a formare i big three con Bosh e Wade, tutti ad insultarlo: perdente, codardo, ti piace vincere facile e via discorrendo. Come mai ora stanno tutti zitti?
La storia dei Big Two/Big Three è sempre esistita non diciamo cazzate: Shaq&Kobe, Garnett-Pierce-Allen, le twin towers (Robinson-Duncan) I bad boys e chi più ne ha più ne metta. Vincere un titolo NBA da soli è impossibile. “E Jordan???” dice un demente ignorante finto-tuttologo, passando per strada. Beh Jordan è “uncomparable” come direbbero in America, ma nei suoi due three peat aveva dei giocatori a fianco, come direbbe Pozzetto, "della madooonna", quali Rodman, Pippen, Kerr, Kukoc…quindi fatemi il piacere. Ergo le critiche a LBJ, sono state stupide e infondate.
A proposito di critiche, dove sono gli haters di Curry? Esistono? Eppure dovrebbe esisterne (sopratutto fra i puristi del gioco), essendo che il suo modo di giocare ha rovinato l’NBA. E questa signori non è una sparata stile Caressa che insulta il “Cholismo” dell’Atletico, ma la pura verità, che umilmente riferisco da un autorevole ed interessante articolo americano di settore. Su questo non voglio dilungarmi perché richiederebbe altri sei ulteriori articoli, ma per ora mi limito a dire che il modo anticonvenzionale, esagerato sia tecnicamente, che come scelta del shooting range, di Steph, non è un buono esempio i common-players della pallacanestro, che si esaltano ora a 10-12 anni a vedere le sue giocate su youtube. 
Proprio per questo, con un tiratore disumano in spazi e tempi come Curry, un cecchino come Clay, una tripla doppia umana come Green e un giocatore poeticamente spiazzante come possibilità di scelte offensive, come Durant, dicevo…proprio per questo siamo tutti curiosi di vedere come si adatterà il sistema di gioco degli Warriors quest’anno, con quattro tiratori all-range sopracitati e un "centro" (mille virgolette), come Iguodala. Nutro riserve.
Squadra illegale su carta senz’altro. C’è chi la chiama già “Dream Team” ed io rispondo: “lasciatelo a Barcellona ’92 che è meglio, là deve stare, capre!”.
Ma anche quest’anno abbiamo visto che “Believeland” ha battuto “Strenght in numbers”, Cleveland ha battuto Golden State, la voce di un popolo sconfitto da sempre, guidato da Re Giorgio, ha battuto una squadra statisticamente perfetta e fresca detentrice del nuovo record di vittore in regular season, in barba al Michael Jordan & Soci. "NBA: Where Amazing Happens."(cit)
Quindi aspettiamo a dire che Golden State vincerà a mani basse.
I have a dream: caro Lebron, a giugno 2017, dacci il quarto anello, lasciando in un angolo in disparte a piangere Steph Curry, il Baby Faced Assassin, che davanti alla tua maestosità ha già dimostrato quest’anno alle Finals, con quel behind the back pass inutile e fatale a -5’ dalla fine, di essere rimasto ormai solo “Baby”.
Lebron…che ora nella nuova copertina di Sport Illustrated, è chiamato “The Promise Keeper”, ovvero colui che ha mantenuto la Promessa di ritornare nella sua città per portarla al trionfo. 
Tornerà mai Durant ai Thunder?
Si potrebbe continuare per ore questo discorso, analizzando decine di diversi punti di vista, e scriverne romanzi fino a riempire intere biblioteche, ma il mio tempo su questa terra è poco, il vostro pure.
"O muori da eroe, o vivi tanto a lungo da diventar cattivo" benvenuto al lato oscuro Kevin.

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