giovedì 15 settembre 2016

SIATELO MA NON DITELO

Di Manuel Fantoni

Paolo Di Canio non è uno stinco di santo, non lo era prima e non lo è adesso, le sue simpatie politiche sono arcinote da tempo come le sue esternazioni. Come molti sanno in rete si è sollevata la protesta che ha portato al suo licenziamento, in quanto in un programma di Sky relativo alla Premier League, dalla manica della maglietta spuntava il tatuaggio DVX.
Ci sono quindi due modi di affrontare il “problema”, uno è quello inglese l’altro è quello italiano. In quello inglese se il problema sono le simpatie politiche di Di Canio, allora il problema esiste da subito e da subito se ne discute, così infatti è successo quando Di Canio militò in Inghilterra come giocatore e allenatore. Secondo il ragionamento britannico, se per il datore di lavoro non è problema e ne accetta le possibili conseguenze, allora non ci sono problemi e si valuta Di Canio per quello che fa come calciatore e allenatore come tutti gli altri.
Il metodo italiano invece è quello contorto, basato sull’ipocrisia nostrana del si fa (in questo caso: lo sei) ma, non si dice. Infatti, che Di Canio abbracciasse certe idee era noto da tempo e che le avesse esternate pure, chi non ricorda il saluto romano alla curva nord dopo un derby di Roma? Eppure finchè Di Canio sta a Sky e parla di calcio va tutto bene, ma se spunta il tatuaggio equivoco dalla mezza manica, allora ci si straccia le vesti al grido di “uno così in tv non ci può stare”.
Si capirà che io parteggio per il metodo inglese, che Di Canio fosse così si sapeva, se per qualcuno era un problema, la questione andava sollevata dal primo minuto in cui Sky l’avesse mandato in onda, non dopo qualche anno, solo perché non aveva la camicia maniche lunghe. Se Di Canio è andato bene fino adesso, allora il problema non si pone. Affrontato così il problema del suo presunto estremismo, diventa non una questione di ideologie ma di aspetto esteriore, ovvero non ci da fastidio ciò che pensi, ma se lo manifesti.
Sollevo altre questioni.
La prima, in questi giorni per motivi ben più seri si discute del popolo del web, su chi sia, cosa sia e quanto sia cattivo. Quanti che nei vari social hanno commentato la questione Di Canio sono abbonati Sky e hanno potuto effettivamente vederlo al lavoro come opinionista e commentatore tecnico? Chi rappresenta il web e soprattutto quanto “pesa” rispetto l’opinione pubblica? Per Sky conta di più il web o i suoi abbonati?
La seconda, di errori tutti ne commettiamo, siamo il paese delle seconde ma anche terze, quarte infinite possibilità, per tutti ma altri meno. Posto che Di Canio sbagli, perché non concedere una seconda chance, premiando la sua competenza e bravura nel lavoro che svolge? Magari facendogli fare pubbliche scuse. Perché se guardassimo esclusivamente le capacità e bravura come talent, come li chiamano a Sky, a fare le valigie per primo non dovrebbe essere certamente lui.
La terza, ci siamo stracciati le vesti e abbiamo gridato allo scandalo: Di Canio, anche se in questo caso non volutamente e indirettamente, non può manifestare il suo credo politico. Ci potrebbe stare, però sarebbe ora che tutta la politica uscisse dal calcio, anche quella la cui manifestazione non costituisce reato. Di pallone vogliamo vedere e parlare, per la politica i luoghi sono altri, se certe cose ci possono urtare, vietiamole tutte, non solo alcune o quelle che non piacciono alla maggioranza, così si creano iniquità che finiscono per dare simpatia a chi si vuole censurare. Per esempio, la FIFA per non urtare la sensibilità di (potenti) paesi non cristiani, ha proibito ogni manifestazione religiosa dei giocatori in campo, di tutte non solo di quella cristiana, possiamo discutere su questa privazione di libertà, ma nella natura in sé del provvedimento, per chi si taccia di essere democratico, non si discute: o tutti o nessuno.

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