Paolo
Di Canio non è uno stinco di santo, non lo era prima e non lo è adesso, le sue
simpatie politiche sono arcinote da tempo come le sue esternazioni. Come molti
sanno in rete si è sollevata la protesta che ha portato al suo licenziamento,
in quanto in un programma di Sky relativo alla Premier League, dalla manica
della maglietta spuntava il tatuaggio DVX.
Ci
sono quindi due modi di affrontare il “problema”, uno è quello inglese l’altro
è quello italiano. In quello inglese se il problema sono le simpatie politiche
di Di Canio, allora il problema esiste da subito e da subito se ne discute,
così infatti è successo quando Di Canio militò in Inghilterra come giocatore e
allenatore. Secondo il ragionamento britannico, se per il datore di lavoro non
è problema e ne accetta le possibili conseguenze, allora non ci sono problemi e
si valuta Di Canio per quello che fa come calciatore e allenatore come tutti
gli altri.
Il
metodo italiano invece è quello contorto, basato sull’ipocrisia nostrana del si
fa (in questo caso: lo sei) ma, non si dice. Infatti, che Di Canio abbracciasse
certe idee era noto da tempo e che le avesse esternate pure, chi non ricorda il
saluto romano alla curva nord dopo un derby di Roma? Eppure finchè Di Canio sta
a Sky e parla di calcio va tutto bene, ma se spunta il tatuaggio equivoco dalla
mezza manica, allora ci si straccia le vesti al grido di “uno così in tv non ci
può stare”.
Si
capirà che io parteggio per il metodo inglese, che Di Canio fosse così si
sapeva, se per qualcuno era un problema, la questione andava sollevata dal
primo minuto in cui Sky l’avesse mandato in onda, non dopo qualche anno, solo
perché non aveva la camicia maniche lunghe. Se Di Canio è andato bene fino
adesso, allora il problema non si pone. Affrontato così il problema del suo
presunto estremismo, diventa non una questione di ideologie ma di aspetto
esteriore, ovvero non ci da fastidio ciò che pensi, ma se lo manifesti.
Sollevo
altre questioni.
La
prima, in questi giorni per motivi ben più seri si discute del popolo del web,
su chi sia, cosa sia e quanto sia cattivo. Quanti che nei vari social hanno
commentato la questione Di Canio sono abbonati Sky e hanno potuto effettivamente
vederlo al lavoro come opinionista e commentatore tecnico? Chi rappresenta il
web e soprattutto quanto “pesa” rispetto l’opinione pubblica? Per Sky conta di
più il web o i suoi abbonati?
La
seconda, di errori tutti ne commettiamo, siamo il paese delle seconde ma anche
terze, quarte infinite possibilità, per tutti ma altri meno. Posto che Di Canio
sbagli, perché non concedere una seconda chance, premiando la sua competenza e
bravura nel lavoro che svolge? Magari facendogli fare pubbliche scuse. Perché
se guardassimo esclusivamente le capacità e bravura come talent, come li
chiamano a Sky, a fare le valigie per primo non dovrebbe essere certamente lui.
La terza,
ci siamo stracciati le vesti e abbiamo gridato allo scandalo: Di Canio, anche
se in questo caso non volutamente e indirettamente, non può manifestare il suo
credo politico. Ci potrebbe stare, però sarebbe ora che tutta la politica
uscisse dal calcio, anche quella la cui manifestazione non costituisce reato.
Di pallone vogliamo vedere e parlare, per la politica i luoghi sono altri, se
certe cose ci possono urtare, vietiamole tutte, non solo alcune o quelle che
non piacciono alla maggioranza, così si creano iniquità che finiscono per dare
simpatia a chi si vuole censurare. Per esempio, la FIFA per non urtare la
sensibilità di (potenti) paesi non cristiani, ha proibito ogni manifestazione
religiosa dei giocatori in campo, di tutte non solo di quella cristiana,
possiamo discutere su questa privazione di libertà, ma nella natura in sé del
provvedimento, per chi si taccia di essere democratico, non si discute: o tutti
o nessuno.
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