domenica 5 maggio 2019

LA POESIA DA SOLA NON BASTA: Capire il fenomeno Federer

“Quasi tutti gli amanti del tennis che seguono il circuito maschile in televisione hanno avuto, negli ultimi anni, quelli che si potrebbero definire Momenti Federer. Certe volte, guardando il giovane svizzero giocare, spalanchi la bocca, strabuzzi gli occhi e ti lasci sfuggire versi che spingono tua moglie ad accorrere da un’altra stanza per controllare se stai bene”.
Così David Foster Wallace, uno dei più grandi scrittori americani del vecchio e nuovo millennio, descrive il suo incontro con quello che considerava il tennista migliore di sempre. “Federer come esperienza religiosa” è solo uno dei tanti suoi scritti, ma è la testimonianza di un’idea, del tennis come estetica e filosofia. Nel 2005, del resto, in molti la pensavano come il vecchio David, suicidatosi tragicamente solo un anno più tardi, quando il suo idolo viveva l’anno più vincente in assoluto. 
Nel 2005 Federer era quel ragazzotto svizzero con trentanove titoli vinti nei singolari maschili, tra i quali ben otto Grandi Slam, dopo aver segnato la fine dell’epoca Sampras ed Agassi. Un concentrato di talento e slancio quasi artistico che facevano sognare commentatori del calibro di Gianni Clerici e Adriano Panatta. 
Tuttavia, simili premesse e le innumerevoli vittorie non hanno impedito ai cosiddetti “addetti ai lavori” di giudicare nel 2010 la stella elevetica cadente e in rovina. Le risposte sono arrivate come sentenze: settimo Wimbledon nel 2012 contro Murray e le annate sotto la guida di Ivan Ljubicic, con l’ottavo Wimbledon e due vittorie agli Open di Australia. Oggi Federer è Mr. 101 titoli vinti in carriera, dei quali 20 Grandi Slam e un Carreer Grand Slam a quasi trentotto anni compiuti. 
I numeri, però, poco ci dicono delle ragioni del successo e della longevità atletica tuttora in corso. Come fecero gli autori della rivista americana 60 Minutes nel 2004, occorre andare indietro, alle origini di ciò che oggi ammiriamo. Un caratteraccio e una fragilità nervosa, fino alla morte dell’adorato maestro nell’epoca juniores nel 2002, episodio che tempra e fa maturare un animo tormentato. Il legame insolitamente stabile e maturo con la fidanzata e poi moglie Mirka, ex tennista professionista che lo segue ovunque (anche oggi) e che amministra tutti i suoi affari finanziari.
Questo era Roger Federer, almeno fino a qualche anno fa. Già, perché dopo un’assenza durata mesi che quasi preannunciava un suo addio, The Master è tornato con un nuovo gioco, più aggressivo e incisivo, riguadagnando addirittura il primato della classifica ATP. Come si spiega tutto questo? Da dove deriva? Dopo la sfortunata annata segnata dalla mononucleosi e i numerosi disturbi alla schiena che lo hanno fortemente limitato, in molti avrebbero scommesso sulla racchetta appesa al chiodo. Fortunatamente, questo non è successo e forse dovremo attendere ancora un po’ prima di vedere il gentleman svizzero lasciare per sempre i campi da tennis.
Il suo gioco, la sua manualità e le sue geometrie hanno sempre avuto quel tratto raffigurativo e artistico che gli viene riconosciuto; la plasticità e la velocità dei movimenti, specialmente sulle superfici veloci, lo ha reso per anni ineguagliabile e perfino imbattibile. La rivalità con Nadal e l’esplosione del gioco quantitativo, fatto di scambi veloci e interminabili, hanno minato la stabilità mentale e fisica di Federer, che a quel punto si è visto costretto ad operare un cambiamento, un’evoluzione. Questo il trucco, la pillola della felicità del tennista d’oltralpe.
Tramite la guida e l’esperienza dell’allenatore ed ex giocatore Stephan Edberg, Federer perfeziona e rivoluziona il suo intero repertorio. Ritrova un utilizzo più scientifico e tattico del topspin, sia in diagonale che lungolinea; spinge maggiormente sul rovescio stretto in diagonale, specialmente durante la fase di risposta, limitando il back difensivo e attendista. Interviene sul servizio, da sempre tra i suoi colpi migliori, lavorando maggiormente la palla col Service tagliato in Kick e variando il più possibile ogni singolo angolo, per non dare punti di riferimento all’avversario. Ultimo accorgimento tattico: variabilità assoluta nelle angolazioni, nei rallentamenti e nelle accelerazioni, spezzando così il ritmo ai giocatori più monotoni e forti fisicamente. 
Risultato? Un gioco intenso e spumeggiante, con successi notevoli sia nei Masters 1000 che negli Slam. Federer, oltre ad essere rinato, sembra giocare meglio del suo periodo d’oro; più concentrato, più cattivo, ma soprattutto più incisivo, anche contro le sue nemesi più toste. E’ già un giocatore sopra i trent’anni, ma colpisce con una forza da ragazzino e con la testa di un esperto calcolatore. Tra il 2011 e il 2015-2016, impartisce lezioni e torna sul tetto del mondo, senza aver perso anche solo un millesimo della classe e del talento, offuscando persino le nuove stelle emergenti. Eppure, c’è qualcosa che manca; i dolori alla schiena ritornano e Roger, dopo il 2012, non è più riuscito a vincere neanche uno Slam. Che fare, quindi? Ritirarsi, come molti suggeriscono. No, per niente. 
Nel 2017, dai tavoli tattici di Sky Sport Tennis Ivan Ljubicic da avversario si trasforma in un allenatore, con umiltà e spirito di avventura. Primo obiettivo del nuovo improbabile duo è rafforzare il rovescio, rendere più continuo il dritto e giocare maggiormente in lungo linea, con un gioco più aggressivo e meno attendista, l’evoluzione di quanto già sperimentato con Edberg. Sembra qualcosa di impossibile, migliorare ancora il gioco di un simile talento; eppure, Ivan Il buono, come lo chiamano ancora a Sky, ci riesce. 
Federer ricompare agli Australian Open del 2017 con un approccio aggressivo sia in risposta che al servizio. L’uso di slice e top è perfettamente variato con dritti e rovesci ad alta potenza, che generano vincenti su vincenti. Al service l’imprevedibilità regna, specialmente negli angoli a uscire, nonostante i pochi Ace di numero. Il gioco, però, non ne risente e risulta ordinato, geometrico e geniale per mentalità e realizzazione. 
E’ un altro Federer, con un gioco più evoluto e in grado di contrastare i padroni del fisico, tramite intelligenza e rapidità sontuose. Il gioco di gambe e la facilità di polso dello svizzero permettono sia un discreto risparmio di energie che un’incisività devastante e a tratti inarrestabile. Vince in finale contro Nadal al quinto set, ma sconfigge il maiorchino in tutti i successivi incontri. Fino ad oggi.
Cos’hanno dunque in comune il lavoro di Edberg e Ljubicic? Per prima cosa, la volontà del giocatore di imparare e migliorare, la consapevolezza di non essere ancora arrivato e l’umiltà di ascoltare coach che, messi insieme sulla carta, non possono esprimere le vittorie e la magia della sua racchetta. Roger, riferiscono in ogni intervista, è un lavoratore nato. Umile, desideroso di imparare alla pari di un bambino, fiducioso verso i consigli e le nuove tattiche. Roger si dimostra un professionista ma anche un maniacale perfezionatore, capace di modificare il suo gioco rendendolo sempre migliore. Sembra assurdo, ma oggi Federer gioca meglio di dieci anni fa, quando incantava già tutto il mondo.
Il lavoro dei due coach della maturità ha significato non insistere su un gioco fisico e spossante, privilegiando le doti naturali del giocatore e il suo genio, assieme ad un paio di accorgimenti tattici di livello. Il risultato è una condizione fisica eccellente per quell’età e una facilità di esecuzione quasi migliore di un esordiente. Questo ha permesso e permette a Roger di perdurare così a lungo sui campi, grazie ad un gioco poetico e non fisico, un’attenzione tattica nuova e la consueta voglia di vincere. 
In sintesi, Roger Federer è oggi il più grande tennista di sempre non solo per la genialità e l’unicità dei colpi, ma anche per l’attitudine al lavoro e un amore sconfinato verso uno sport che egli stesso definisce più un’arte. E lui ne è un degno interprete, sotto ogni punto di vista. La poesia da sola, certamente, non è sufficiente; ma se io provassi a fare un solo dritto alla maniera di Federer, pur sembrando semplice a vederlo in televisione, non ci riuscirei perché semplice non è in realtà. Anche questa è la magia di Federer: farci credere semplice qualcosa che non lo è affatto.













Eugenio Capitani, 27 anni, studiato composizione e pianoforte al Conservatorio di Reggio Emilia, laureato in Scienze filosofiche a Bologna. Docente, ricercatore e scrittore, appassionato di letteratura, astronomia e tennis
Eugenio Capitani






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