lunedì 24 marzo 2014

CARLETTO ES MUY REAL

di Nicola Facci

El clasico è finito da poche ore e ha sancito la vittoria del Barcellona nonostante un ottimo Real Madrid. Ci vorrebbe un articolo intero se non un libro, dedicato totalmente a questa partita che non è solo lo scontro, nel 99% dei casi, tra la prima e la seconda in classifica della Liga, nonché tra i due club più titolati di Spagna, ma è anche lo scontro tra due culture: quella catalana e quella castillana, da sempre rivali nello sport come nella politica. Quest’anno c’è stata anche un po’ di Italia in questa partita, perché l’allenatore del Real è Carletto Ancelotti, quello che a mio modestissimo parere è il miglior allenatore italiano del momento. 

Carletto nelle scorse settimane si era guadagnato grandi elogi dalla stampa spagnola e non, per il bel gioco correlato da ottimi risultati del suo Madrid, sembra di secoli fa le accuse ad Ancelotti di avere impostato un gioco troppo difensivista e di avere voluto uno staff troppo numeroso al suo seguito nella avventura madrilena. Carletto, si sa, è un uomo di calcio troppo navigato per controbattere a queste insinuazioni, ha lascito correre e ha preso tempo per dimostrare che il suo Real sa essere squadra di attacco e che i risultati, come ha predicato dal suo insediamento, sarebbe presto arrivati.  A poco a poco ha rosicchiato via i punti di svantaggio che lo dividevano dal duo di testa ed è arrivato a inserirsi prepotentemente nella lotta per il titolo. In Champions è stata tutta un’altra storia con il Real che ha fatto da padrone nella fase a giorni e che ha spazzato via agli ottavi lo Schalke 04. Perché sostengo che in questo momento Ancelotti è il tecnico italiano in attività più di successo? La risposta viene dal suo percorso come allenatore fatto di una crescita costante e dal sapersi adattare alle situazioni come nessun altro.

Nel 1992 Ancelotti lascia il calcio giocato e passa come assistente di uno dei più grandi tecnici italiani (di sicuro è stato il più rivoluzionario): Arrigo Sacchi.  Carletto rimane alla corte del suo ex allenatore quasi 3 anni, da lui apprende i 3 dogmi sacchiani fondamentali: il gioco a zona, il pressing e il 4-4-2. Con questo bagaglio non indifferente, assume l’incarico di allenatore della Reggiana nell’estate del 1995. La reggiana è appena retrocessa dalla serie A, ha l’ambizione di ritornare immediatamente nella massima serie, ma le cose per il tecnico di Reggiolo non vanno troppo bene, troppi pareggi e troppe critiche, nel girone di ritorno si inverte la rotta i risultati arrivano e la reggiana centra la promozione in serie A. La stagione successiva vede il passaggio agli odiati cugini d’oltrenza: il Parma. È la squadra giusta per Ancelotti perché sia lui che il Parma sono molto ambiziosi.  Carletto ottiene un 2° e 5° posto, il primo costituisce il massimo risultato raggiunto nella storia del parma in serie A, come direbbe Abatantuono, scusate se è poco. Tuttavia Carletto inizia a rendersi conto che il suo integralismo tattico e fedeltà al modulo, il 4-4-2, non sono due verità intoccabili. Nell’estate del 1996 appena arrivato a Parma trova Gianfranco Zola, fantasista nonché il giocatore più rappresentativo dei ducali. Il problema è che Zola non è né un centrocampista adatto nel 4-4-2 di matrice sacchiana, né la giusta seconda punta che Carletto vorrebbe, così prova a dirottarlo sulla fascia, esperimento che Zola non gradisce e che non da i risultati sperati. La questione si chiude nel novembre dello stesso anno, Zola prende il volo per la Premier League, destinazione Chelsea. Altro caso eclatante in cui Ancelotti ha ammesso la colpa, è il seguente: estate 1997 Roberto Baggio è in rotta con il Milan, vuole giocare con continuità perché ha la promessa del c.t. della nazionale Cesare Maldini, che se giocherà con costanza, lo terrà in considerazione per il mondiale di Francia 98. Il Parma si fa sotto con Galliani, l’affare sembra fatto ma Ancelotti ferma tutto. Baggio non si sposa con il suo modulo e poi in attacco il Parma è già al completo. La sua avventura in terra emiliana si chiude con buoni risultati e bei ricordi per i tifosi ducali.

Carletto si sente pronto per arrivare in una squadra pluriscudettata: la Juventus. Il momento non è facile la squadra ha appena esonerato Lippi, viaggia attorno al settimo posto in campionato, che vuol dire non accedere direttamente all’Europa. Ancelotti capisce che è arrivato il momento di accantonare il 4-4-2. Perché se fino ad ora ha sempre fatto così bene con quel modulo? La risposta è semplice e consta di un nome e un cognome: Zinedine Zidane. Hai due ottimi attaccanti ovvero Inzaghi e Del Piero, ma se hai zizou dietro le punte è tutta un'altra storia. Infatti Carletto riesce a rimettere sui binari giusti la disastrata stagione 1998/1999 della Juve, arriva settimo in campionato, ma in Champions arriva in semifinale battuto dal Manchester Utd di Ferguson che andrà poi a vincere il trofeo.
La stagione successiva è quella giusta, parte molto presto perché l’unico accesso per l’Europa è la coppa Intertoto che Carletto puntualmente vince e che gli permette di arrivare a giocare la Coppa Uefa. In serie A conduce la Juve al vertice per tutta la stagione, fino a perdere lo scudetto all’ultima giornata, sotto il diluvio a Perugia a favore della Lazio. La seconda stagione è un remake della prima con la differenza che la Juve non riesce mai a scalzare la Roma dalla prima posizione nonostante il calo nel finale di stagione. Nell’estate del 2001 ad Ancelotti non viene rinnovato il contratto, sempre contestato da una parte dei tifosi juventini, per via del suo passato nella Roma e nel Milan come calciatore, viene sostituito da Lippi. Eppure Carletto ha capito un insegnamento fondamentale dai due anni e mezzo in bianconero, se hai dei campioni deve essere il modulo ad adattarsi a loro e non viceversa.

Rimane disoccupato solo pochi mesi perché arriva la chiamata del Milan che ha esonerato Terim. Uno scippo visto che Ancelotti si stava per accordare per un ritorno a Parma ma Recheliue-Galliani (come lo definì Buffa vista l’abilità diplomatica) lo strappò all’ultimo ai gialloblu. Carletto a poco a poco inizia a costruire il suo Milan, uno tra i più vincenti nella storia dei rossoneri. Il capolavoro arriva già la prima stagione riuscendo a guadagnare i preliminari di Champions, il resto è leggenda due Champions e uno scudetto oltre che una finale persa, svariati terzi posti e secondi posti. L’evoluzione tattica di Carletto non si ferma, al Milan ha a disposizione tre potenziali trequartisti: Rui Costa, Seedorf e Pirlo. Seedorf è dirottato come interno di centrocampo vista la grande forza fisica, Rui Costa gioca nel suo ruolo classico di trequarstista a supporto di Sheva e Inzaghi. Pirlo? I cugini interisti non trovando soluzioni idonee per Pirlo lo mandarono in prestito prima alla Reggina poi al Brescia, proprio a Brescia Carlo Mazzone si trova di fronte a un problema tattico di non poco conto, come trequartista meglio Baggio per esperienza e senso del gol, ma uno come pirlo lo si deve fare giocare per forza, ecco allora che viene messo come regista davanti alla difesa. Carletto Ancelotti allora ripesca questa soluzione 4-3-1-2 o 4-3-2-1 a centrocampo s’inventa il rombo: Pirlo vertice basso con un ruolo da palymaker tipo basket, Gattuso e Seedorf interni e Rui Costa vertice alto. La soluzione è perfetta Carletto sforna quella che sarà l’identità tattica del Milan per 9 stagioni. 


Finita l’esperienza Milan, arriva Chelsea. Non è un cambiamento da poco. Carletto dopo 9 stagioni da apprezzato allenatore potrebbe importare integralmente il suo modulo vincente e potrebbe farlo portando con se molti interpreti, ma capisce al volo che Londra non è Milano. Il materiale umano del Chelsea è altrettanto ottimo: Drogba, Lampard e Terry per citarne qualcuno. Capisce anche che la fisicità e l’agonismo nel calcio inglese sono fondamentali per vincere e quindi sforna un 4-3-1-2 che può variare facilmente in un 4-3-3 alternando il giusto mix a centrocampo di qualità (Lampard) e quantità (Mikel ed Essien). La prima stagione porta dritti al double Premier+ FA cup, per capirci solo Mourinho c’è riuscito all’esordio in premier. A mio personale avviso la grande capacità di Carletto fu di lavorare con ciò che ha avuto a disposizione, senza chiedere acquisti in grande stile. Non stupisce che abbia rilanciato giocatori considerati “bolliti” come Malouda e Kalou fondamentali per sfruttare la profondità e il contropiede. La seconda stagione invece è avara di successi arriva un secondo posto e ciò è sufficiente per il suscettibile Abramovich per scaricare Carletto.

Qui arriva nel corso della sua carriere un altro colpo da maestro. Che il campionato francese non sia particolarmente entusiasmante siamo tutti d’accordo, che vincerlo con il PSG con Thiago Silva, Ibra, Lavezzi, Verratti, Menez, &co, forse è una cosa facile (resta tutto da vedere…), ma non è certamente alla portata di tutti metterli in campo e fare in modo che la squadra abbia il giusto equilibrio per essere vincente. In una stagione e mezzo centra gli obiettivi prefissati vince senza troppi problemi il campionato francese dopo 19 anni dall’ultimo vinto dal PSG e arriva ai quarti di finale di Champions dove per poco non elimina il Barcellona. Quando hai una squadra di 13-14 titolari non è facile farli convivere tutti assieme. Un conto è tenere in panchina Serginho un altro è tenere in panchina Pastore, Menez o Lavezzi. Altro problema era la sovrabbondanza di trequartisti e mezzepunte, anche in questo caso la soluzione è presto fatta, si vira verso il 4-2-3-1.

Il resto è storia dei giorni nostri, la scorsa estate il Real Madrid fa di tutto per poter far sedere sulla propria panchina Carletto. La rosa dei nomi in lizza per allenare il Real fa rabbrividire: Klopp, Heynckes (fresco vincitore della Champions). Ancelotti arriva con il mercato già quasi fatto, l’obiettivo è Bale, Ozil e Higuain sono in partenza, Isco è già arrivato. Il pubblico spagnolo esige spettacolo e gol, benissimo, il 4-3-3 è il modulo che meglio si sposa con i giocatori a disposizione, velocità e verticalizzare sono le parole d’ordine. Ovviamente come ha sempre voluto in ogni sua squadra allenata e come il suo maestro Sacchi gli ha insegnato, l’equilibrio è fondamentale, senza questo non si vince. Fermi tutti. Dunque il segreto di Ancelotti è il cambiamento continuo? No, è il sapersi adattare alle situazioni, agli uomini a disposizione, a quello che è la filosofia di gioco del paese in cui si trova, far giocare il Real come il suo Chelsea sarebbe il modo migliore per farsi fischiare dal Bernabeu intero e farsi cacciare dopo qualche mese. Quello che si trova sempre come costante nella carriera di Ancelotti è la capacità saper creare una squadra adatta a vincere nel contesto calcistico in cui si trova senza mai rinunciare agli accorgimenti tattici cardine di Carletto: equilibrio, difesa capace e un regista dai piedi buoni nel mezzo del campo che può andare da Pirlo a Xabi Alonso, passando per Verratti.


Buena sorte Carletto!!!

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