di Nicola Facci
El
clasico è finito da poche ore e ha sancito la vittoria del Barcellona
nonostante un ottimo Real Madrid. Ci vorrebbe un articolo intero se non un
libro, dedicato totalmente a questa partita che non è solo lo scontro, nel 99%
dei casi, tra la prima e la seconda in classifica della Liga, nonché tra i due
club più titolati di Spagna, ma è anche lo scontro tra due culture: quella
catalana e quella castillana, da sempre rivali nello sport come nella politica.
Quest’anno c’è stata anche un po’ di Italia in questa partita, perché
l’allenatore del Real è Carletto Ancelotti, quello che a mio modestissimo
parere è il miglior allenatore italiano del momento.
Carletto
nelle scorse settimane si era guadagnato grandi elogi dalla stampa spagnola e
non, per il bel gioco correlato da ottimi risultati del suo Madrid, sembra di
secoli fa le accuse ad Ancelotti di avere impostato un gioco troppo
difensivista e di avere voluto uno staff troppo numeroso al suo seguito nella
avventura madrilena. Carletto, si sa, è un uomo di calcio troppo navigato per
controbattere a queste insinuazioni, ha lascito correre e ha preso tempo per
dimostrare che il suo Real sa essere squadra di attacco e che i risultati, come
ha predicato dal suo insediamento, sarebbe presto arrivati. A poco a poco ha rosicchiato via i punti di svantaggio
che lo dividevano dal duo di testa ed è arrivato a inserirsi prepotentemente
nella lotta per il titolo. In Champions è stata tutta un’altra storia con il Real
che ha fatto da padrone nella fase a giorni e che ha spazzato via agli ottavi
lo Schalke 04. Perché sostengo che in questo momento Ancelotti è il tecnico
italiano in attività più di successo? La risposta viene dal suo percorso come
allenatore fatto di una crescita costante e dal sapersi adattare alle
situazioni come nessun altro.
Nel
1992 Ancelotti lascia il calcio giocato e passa come assistente di uno dei più
grandi tecnici italiani (di sicuro è stato il più rivoluzionario): Arrigo Sacchi. Carletto rimane alla corte del suo ex allenatore
quasi 3 anni, da lui apprende i 3 dogmi sacchiani fondamentali: il gioco a
zona, il pressing e il 4-4-2. Con questo
bagaglio non indifferente, assume l’incarico di allenatore della Reggiana
nell’estate del 1995. La reggiana è appena retrocessa dalla serie A, ha
l’ambizione di ritornare immediatamente nella massima serie, ma le cose per il
tecnico di Reggiolo non vanno troppo bene, troppi pareggi e troppe critiche,
nel girone di ritorno si inverte la rotta i risultati arrivano e la reggiana centra
la promozione in serie A. La stagione successiva vede il passaggio agli odiati
cugini d’oltrenza: il Parma. È la squadra giusta per Ancelotti perché sia lui
che il Parma sono molto ambiziosi.
Carletto ottiene un 2° e 5° posto, il primo costituisce il massimo
risultato raggiunto nella storia del parma in serie A, come direbbe Abatantuono,
scusate se è poco. Tuttavia Carletto inizia a rendersi conto che il suo
integralismo tattico e fedeltà al modulo, il 4-4-2, non sono due verità
intoccabili. Nell’estate del 1996 appena arrivato a Parma trova Gianfranco Zola,
fantasista nonché il giocatore più rappresentativo dei ducali. Il problema è
che Zola non è né un centrocampista adatto nel 4-4-2 di matrice sacchiana, né
la giusta seconda punta che Carletto vorrebbe, così prova a dirottarlo sulla
fascia, esperimento che Zola non gradisce e che non da i risultati sperati. La
questione si chiude nel novembre dello stesso anno, Zola prende il volo per la
Premier League, destinazione Chelsea. Altro caso eclatante in cui Ancelotti ha
ammesso la colpa, è il seguente: estate 1997 Roberto Baggio è in rotta con il Milan,
vuole giocare con continuità perché ha la promessa del c.t. della nazionale
Cesare Maldini, che se giocherà con costanza, lo terrà in considerazione per il
mondiale di Francia 98. Il Parma si fa sotto con Galliani, l’affare sembra
fatto ma Ancelotti ferma tutto. Baggio non si sposa con il suo modulo e poi in
attacco il Parma è già al completo. La sua avventura in terra emiliana si
chiude con buoni risultati e bei ricordi per i tifosi ducali.
Carletto
si sente pronto per arrivare in una squadra pluriscudettata: la Juventus. Il
momento non è facile la squadra ha appena esonerato Lippi, viaggia attorno al
settimo posto in campionato, che vuol dire non accedere direttamente all’Europa.
Ancelotti capisce che è arrivato il momento di accantonare il 4-4-2. Perché se
fino ad ora ha sempre fatto così bene con quel modulo? La risposta è semplice e
consta di un nome e un cognome: Zinedine Zidane. Hai due ottimi attaccanti
ovvero Inzaghi e Del Piero, ma se hai zizou dietro le punte è tutta un'altra
storia. Infatti Carletto riesce a rimettere sui binari giusti la disastrata
stagione 1998/1999 della Juve, arriva settimo in campionato, ma in Champions arriva
in semifinale battuto dal Manchester Utd di Ferguson che andrà poi a vincere il
trofeo.
La stagione successiva è quella
giusta, parte molto presto perché l’unico accesso per l’Europa è la coppa
Intertoto che Carletto puntualmente vince e che gli permette di arrivare a
giocare la Coppa Uefa. In serie A conduce la Juve al vertice per tutta la
stagione, fino a perdere lo scudetto all’ultima giornata, sotto il diluvio a
Perugia a favore della Lazio. La seconda stagione è un remake della prima con
la differenza che la Juve non riesce mai a scalzare la Roma dalla prima
posizione nonostante il calo nel finale di stagione. Nell’estate del 2001 ad Ancelotti
non viene rinnovato il contratto, sempre contestato da una parte dei tifosi
juventini, per via del suo passato nella Roma e nel Milan come calciatore,
viene sostituito da Lippi. Eppure Carletto ha capito un insegnamento
fondamentale dai due anni e mezzo in bianconero, se hai dei campioni deve
essere il modulo ad adattarsi a loro e non viceversa.
Rimane
disoccupato solo pochi mesi perché arriva la chiamata del Milan che ha
esonerato Terim. Uno scippo visto che Ancelotti si stava per accordare per un
ritorno a Parma ma Recheliue-Galliani (come lo definì Buffa vista l’abilità
diplomatica) lo strappò all’ultimo ai gialloblu. Carletto a poco a poco inizia
a costruire il suo Milan, uno tra i più vincenti nella storia dei rossoneri. Il
capolavoro arriva già la prima stagione riuscendo a guadagnare i preliminari di
Champions, il resto è leggenda due Champions e uno scudetto oltre che una
finale persa, svariati terzi posti e secondi posti. L’evoluzione tattica di Carletto
non si ferma, al Milan ha a disposizione tre potenziali trequartisti: Rui
Costa, Seedorf e Pirlo. Seedorf è dirottato come interno di centrocampo vista
la grande forza fisica, Rui Costa gioca nel suo ruolo classico di trequarstista
a supporto di Sheva e Inzaghi. Pirlo? I cugini interisti non trovando soluzioni
idonee per Pirlo lo mandarono in prestito prima alla Reggina poi al Brescia,
proprio a Brescia Carlo Mazzone si trova di fronte a un problema tattico di non
poco conto, come trequartista meglio Baggio per esperienza e senso del gol, ma
uno come pirlo lo si deve fare giocare per forza, ecco allora che viene messo
come regista davanti alla difesa. Carletto Ancelotti allora ripesca questa
soluzione 4-3-1-2 o 4-3-2-1 a centrocampo s’inventa il rombo: Pirlo vertice
basso con un ruolo da palymaker tipo basket, Gattuso e Seedorf interni e Rui Costa
vertice alto. La soluzione è perfetta Carletto sforna quella che sarà
l’identità tattica del Milan per 9 stagioni.
Finita
l’esperienza Milan, arriva Chelsea. Non è un cambiamento da poco. Carletto dopo
9 stagioni da apprezzato allenatore potrebbe importare integralmente il suo
modulo vincente e potrebbe farlo portando con se molti interpreti, ma capisce
al volo che Londra non è Milano. Il materiale umano del Chelsea è altrettanto
ottimo: Drogba, Lampard e Terry per citarne qualcuno. Capisce anche che la
fisicità e l’agonismo nel calcio inglese sono fondamentali per vincere e quindi
sforna un 4-3-1-2 che può variare facilmente in un 4-3-3 alternando il giusto
mix a centrocampo di qualità (Lampard) e quantità (Mikel ed Essien). La prima stagione
porta dritti al double Premier+ FA cup, per capirci solo Mourinho c’è riuscito
all’esordio in premier. A mio personale avviso la grande capacità di Carletto
fu di lavorare con ciò che ha avuto a disposizione, senza chiedere acquisti in
grande stile. Non stupisce che abbia rilanciato giocatori considerati “bolliti”
come Malouda e Kalou fondamentali per sfruttare la profondità e il contropiede.
La seconda stagione invece è avara di successi arriva un secondo posto e ciò è
sufficiente per il suscettibile Abramovich per scaricare Carletto.
Qui
arriva nel corso della sua carriere un altro colpo da maestro. Che il
campionato francese non sia particolarmente entusiasmante siamo tutti d’accordo,
che vincerlo con il PSG con Thiago Silva, Ibra, Lavezzi, Verratti, Menez,
&co, forse è una cosa facile (resta tutto da vedere…), ma non è certamente
alla portata di tutti metterli in campo e fare in modo che la squadra abbia il
giusto equilibrio per essere vincente. In una stagione e mezzo centra gli
obiettivi prefissati vince senza troppi problemi il campionato francese dopo 19
anni dall’ultimo vinto dal PSG e arriva ai quarti di finale di Champions dove
per poco non elimina il Barcellona. Quando hai una squadra di 13-14 titolari
non è facile farli convivere tutti assieme. Un conto è tenere in panchina Serginho
un altro è tenere in panchina Pastore, Menez o Lavezzi. Altro problema era la
sovrabbondanza di trequartisti e mezzepunte, anche in questo caso la soluzione
è presto fatta, si vira verso il 4-2-3-1.
Il
resto è storia dei giorni nostri, la scorsa estate il Real Madrid fa di tutto
per poter far sedere sulla propria panchina Carletto. La rosa dei nomi in lizza
per allenare il Real fa rabbrividire: Klopp, Heynckes (fresco vincitore della Champions).
Ancelotti arriva con il mercato già quasi fatto, l’obiettivo è Bale, Ozil e Higuain
sono in partenza, Isco è già arrivato. Il pubblico spagnolo esige spettacolo e
gol, benissimo, il 4-3-3 è il modulo che meglio si sposa con i giocatori a
disposizione, velocità e verticalizzare sono le parole d’ordine. Ovviamente
come ha sempre voluto in ogni sua squadra allenata e come il suo maestro Sacchi
gli ha insegnato, l’equilibrio è fondamentale, senza questo non si vince. Fermi
tutti. Dunque il segreto di Ancelotti è il cambiamento continuo? No, è il
sapersi adattare alle situazioni, agli uomini a disposizione, a quello che è la
filosofia di gioco del paese in cui si trova, far giocare il Real come il suo Chelsea
sarebbe il modo migliore per farsi fischiare dal Bernabeu intero e farsi
cacciare dopo qualche mese. Quello che si trova sempre come costante nella
carriera di Ancelotti è la capacità saper creare una squadra adatta a vincere
nel contesto calcistico in cui si trova senza mai rinunciare agli accorgimenti
tattici cardine di Carletto: equilibrio, difesa capace e un regista dai piedi
buoni nel mezzo del campo che può andare da Pirlo a Xabi Alonso, passando per Verratti.
Buena
sorte Carletto!!!
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